L’esito straordinario del referendum bolognese sulla scuola pubblica ci permette di fare alcune considerazioni.
La prima è che chi si affretti a esorcizzarne il risultato aggrappandosi alla percentuale dei votanti, il 29%, in un giorno che segna il drammatico crollo della partecipazione elettorale in tutto il paese è fuori dalla realtà, e commette quindi il più grave degli errori per chiunque ambisca ad un qualsiasi ruolo nella vita pubblica.
E’ invece necessario cogliere e valorizzare il bene prezioso della partecipazione popolare, soprattutto quando questa è mossa da un genuino interesse ad intervenire nella vita democratica, con i pochi strumenti messi a disposizione da un sistema politico che appare ogni giorno più bloccato ed impermeabile.
Non farlo, chiudere l’ennesima porta, significherebbe per il centrosinistra bolognese infliggersi l’ennesimo atto di autolesionismo, di cui sarebbe impossibile essere complici.
La seconda è che la sinistra, quel moto autentico che fa del bene pubblico il centro della vita politica, è ancora ben viva nel nostro paese, come già aveva dimostrato con i referendum sull’acqua, e resiste a tutti i tentativi di anestesia esercitati da un ceto politico consumato da sconfitte culturali ormai superate nella società.
E’ infatti impossibile non notare che è nella diversa interpretazione della prevalenza del pubblico o del privato che vive una delle fratture storiche fra destra e sinistra, una delle discriminanti di senso che solo il pensiero unico degli ultimi trent’anni ha preteso di superare, naturalmente a tutto beneficio del privato.
Oggi a Bologna, come due anni fa in Italia, e non a caso nel centro di una crisi economica e sociale devastante, diventa chiaro come il neo-liberismo possa essere sconfitto politicamente, perché ha già perso la sua presa egemonica.
Non capirlo, attardandosi nella difesa di schemi antiquati, sarebbe il secondo errore non conciliabile con il significato stesso della parola politica.
La terza è che la scuola pubblica, pur mortificata e offesa da anni di contro-riforme, continua a essere un patrimonio della memoria e del futuro del nostro paese.
Pubblica perché inclusiva, laica, democratica, aperta alle differenze della società, e non certo perché accessibile a chiunque abbia le risorse economiche o la condizione religiosa necessarie ad accedervi.
Il sofismo per cui pubblico sarebbe tutto ciò che non ha sbarre materiali a delimitarne l’accesso, cosicché i servizi essenziali sarebbero assimilati ad un bar, è stato sconfitto.
Allo stesso modo è stata sconfitta l’idea tutta italiana che per garantire un livello minimo di qualità dei servizi privati concorrenti lo Stato debba intervenire non per via normativa, ma attraverso la mancia, come che in sua assenza il privato abbia il diritto di operare a sua piena discrezionalità.
Stiamo parlando del sistema che, non a caso, ha peraltro prodotto le peggiori scuole private del mondo, generando un ambiente fondato sui sussidi, anziché sulla concorrenza in termini di qualità.
Questo peraltro vale per la scuola, ma può essere esteso alla sanità, ai servizi socio-assistenziali e a tutto quel vasto mondo interessato dalla parola magica sussidiarietà.
Infine, è bene capire che il voto ha coinvolto Bologna, ma riguarda tutta l’Italia. Questo significa che non è necessario ripetere ovunque l’esperienza referendaria del capoluogo emiliano, ma a patto che la politica, e soprattutto il centrosinistra che governa i nostri Comuni, capisca che è necessario avviare immediatamente una revisione critica dell’approccio culturale che ha finora dominato in tema di scuola e di servizi pubblici la sua componente maggioritaria.
Ciò significa riaffermare l’obiettivo della massima copertura della domanda da parte del pubblico, con conseguente riallocazione delle risorse impiegate e impiegabili, rivedendo il rapporto con il privato, non per mortificarlo, ma per rimettere ciascuno al proprio posto.
Si tratta, in definitiva, di superare le paure di un ventennio la cui cultura ha generato la peggiore crisi del dopoguerra. Si tratta di mettersi dalla parte della maggioranza del popolo italiano. Dalla parte della sinistra.
On. Giovanni Paglia
La prima è che chi si affretti a esorcizzarne il risultato aggrappandosi alla percentuale dei votanti, il 29%, in un giorno che segna il drammatico crollo della partecipazione elettorale in tutto il paese è fuori dalla realtà, e commette quindi il più grave degli errori per chiunque ambisca ad un qualsiasi ruolo nella vita pubblica.
E’ invece necessario cogliere e valorizzare il bene prezioso della partecipazione popolare, soprattutto quando questa è mossa da un genuino interesse ad intervenire nella vita democratica, con i pochi strumenti messi a disposizione da un sistema politico che appare ogni giorno più bloccato ed impermeabile.
Non farlo, chiudere l’ennesima porta, significherebbe per il centrosinistra bolognese infliggersi l’ennesimo atto di autolesionismo, di cui sarebbe impossibile essere complici.
La seconda è che la sinistra, quel moto autentico che fa del bene pubblico il centro della vita politica, è ancora ben viva nel nostro paese, come già aveva dimostrato con i referendum sull’acqua, e resiste a tutti i tentativi di anestesia esercitati da un ceto politico consumato da sconfitte culturali ormai superate nella società.
E’ infatti impossibile non notare che è nella diversa interpretazione della prevalenza del pubblico o del privato che vive una delle fratture storiche fra destra e sinistra, una delle discriminanti di senso che solo il pensiero unico degli ultimi trent’anni ha preteso di superare, naturalmente a tutto beneficio del privato.
Oggi a Bologna, come due anni fa in Italia, e non a caso nel centro di una crisi economica e sociale devastante, diventa chiaro come il neo-liberismo possa essere sconfitto politicamente, perché ha già perso la sua presa egemonica.
Non capirlo, attardandosi nella difesa di schemi antiquati, sarebbe il secondo errore non conciliabile con il significato stesso della parola politica.
La terza è che la scuola pubblica, pur mortificata e offesa da anni di contro-riforme, continua a essere un patrimonio della memoria e del futuro del nostro paese.
Pubblica perché inclusiva, laica, democratica, aperta alle differenze della società, e non certo perché accessibile a chiunque abbia le risorse economiche o la condizione religiosa necessarie ad accedervi.
Il sofismo per cui pubblico sarebbe tutto ciò che non ha sbarre materiali a delimitarne l’accesso, cosicché i servizi essenziali sarebbero assimilati ad un bar, è stato sconfitto.
Allo stesso modo è stata sconfitta l’idea tutta italiana che per garantire un livello minimo di qualità dei servizi privati concorrenti lo Stato debba intervenire non per via normativa, ma attraverso la mancia, come che in sua assenza il privato abbia il diritto di operare a sua piena discrezionalità.
Stiamo parlando del sistema che, non a caso, ha peraltro prodotto le peggiori scuole private del mondo, generando un ambiente fondato sui sussidi, anziché sulla concorrenza in termini di qualità.
Questo peraltro vale per la scuola, ma può essere esteso alla sanità, ai servizi socio-assistenziali e a tutto quel vasto mondo interessato dalla parola magica sussidiarietà.
Infine, è bene capire che il voto ha coinvolto Bologna, ma riguarda tutta l’Italia. Questo significa che non è necessario ripetere ovunque l’esperienza referendaria del capoluogo emiliano, ma a patto che la politica, e soprattutto il centrosinistra che governa i nostri Comuni, capisca che è necessario avviare immediatamente una revisione critica dell’approccio culturale che ha finora dominato in tema di scuola e di servizi pubblici la sua componente maggioritaria.
Ciò significa riaffermare l’obiettivo della massima copertura della domanda da parte del pubblico, con conseguente riallocazione delle risorse impiegate e impiegabili, rivedendo il rapporto con il privato, non per mortificarlo, ma per rimettere ciascuno al proprio posto.
Si tratta, in definitiva, di superare le paure di un ventennio la cui cultura ha generato la peggiore crisi del dopoguerra. Si tratta di mettersi dalla parte della maggioranza del popolo italiano. Dalla parte della sinistra.
On. Giovanni Paglia